Troppo spesso ci dimentichiamo l'impatto che possono avere i nostri acquisti e il potere che abbiamo in quanto consumatori.
L'industria della moda contribuisce per il 10% alle emissioni di gas serra generate dall'attività umana. Tuttavia, esistono alcuni modi per ridurre l'impatto del nostro guardaroba sull'ambiente.
Fast fashion:
Tra i maggiori responsabili del terribile impatto ambientale dell'industria della moda, c'è il "fast fashion", che è il settore di abbigliamento nel quale in capi costano poco, sono fatti di materiali di bassa qualità e vanno a seguire i trend del momento (vedi H&M, Zara e Topshop). Per farsi un'idea, mentre la moda tradizionale prevede due cicli all'anno, il "fast fashion" ne prevede cinquanta!
Il consumatore medio compra oggi il 60% di vestiti in più di quanti ne comprasse nel 2000 e tiene ogni capo la metà del tempo. Questa mentalità "fast fashion" sta mettendo il futuro del nostro pianeta a rischio.
Per saperne di più sulle problematiche legate al "fast fashion", il documentario The True Cost racconta i retroscena dell'industria della moda in maniera molto interessante.
Sostenibilità:
L'industria della moda contribuisce per il 10% alle emissioni di gas serra globali e per il 20% alle acque reflue.
In particolare, il cotone rappresenta un grande problema in termini di consumo d'acqua: la produzione di una camicia di cotone richiede circa 2,700 litri d'acqua, che è quello che una persona beve in due anni e mezzo.
Non è scontato rendersi conto di tutto ciò che sta dietro alla produzione di un capo di abbigliamento. Per esempio, per produrre un paio di jeans ci vuole un chilo di cotone. Per produrre un chilo di cotone vengono utilizzati dai 7,500 ai 10,000 litri d'acqua, che corrispondono all'acqua bevuta da una persona in circa 10 anni.
In altri termini, per produrre un paio di Levi's 501 vengono prodotti quasi 35kg di diossido di carbonio, che corrispondono a guidare 110km con l'automobile media americana. Queste emissioni derivano soprattutto dalla produzione di fibre e tessuti, ma anche dal packaging e dal trasporto. Inoltre, il 40% di queste emissioni viene generato dai consumatori, soprattutto durante il lavaggio.
Per tenere sotto controllo i jeans che compriamo, possiamo cercare sull'etichetta un programma di certificazione come Better Cotton Initiative e Global Organic Textile Standard, ma anche questi standard non sono perfetti.
Fortunatamente, sta prendendo piede anche la moda sostenibile, che prende in considerazione l'intera supply chain e l'intero ciclo di vita dei capi, dalla loro creazione al momento in cui finiscono nelle discariche (esempi di brand sostenibili sono Patagonia, Reformation e Organic Basics). E' importante che questo tipo di moda diventi sempre più rilevante e che i consumatori realizzino pienamente l'impatto che i loro acquisti possono avere sull'ambiente, che considerino il ciclo di vita dei loro capi di abbigliamento, e che capiscano come investire in un guardaroba più duraturo.
I materiali naturali non sono necessariamente molto sostenibili. Possono infatti richiedere grandi quantità d'acqua, colorante e chilometri di trasporto. Il cotone biologico può essere meglio per i contadini che sarebbero altrimenti esposti a grandi quantità di pesticidi, ma il problema dello spreco d'acqua rimane.
La biocouture, cioè la moda derivante dall'utilizzo di materiali sostenibili, sta diventando un business sempre più rilevante. Alcuni produttori cercano modi di utilizzare gli scarti di legno, frutta e altri materiali naturali per creare tessuti. Altri studiano metodi alternativi per tingere i tessuti o cercano materiali che siano più facilmente biodegradabili una volta che vengono buttati via. Orange Fiber, ad esempio, è un marchio siciliano che propone un tessuto fatto di agrumi.
Sprechi:
Ogni anno vengono prodotti più di 100 miliardi di capi di abbigliamento e molti di questi vengono sprecati, sia perché se non vengono venduti vengono distrutti dalle case di moda, sia perché quando i consumatori non li vogliono più finiscono nelle discariche.
Ciò che è particolarmente problematico nell'industria della moda è il ritmo frenetico che essa incita ogni stagione, spingendo i consumatori a comprare continuamente i capi all'ultima tendenza e generando così uno spreco enorme.
Per far fronte al fatto che viviamo in un'epoca nella quale le persone non vogliono essere viste con lo stesso outfit in più di un'occasione, una soluzione potrebbe essere ricorrere a piattaforme per l'"affitto" di vestiti, come Rent The Runway (che ha dei programmi con un numero di swap mensili per rinfrescare continuamente il guardaroba) e altre che vendono vestiti usati, come Depop.
Come scegliere i brand da cui acquistare capi di abbigliamento:
Per saperne di più sulla sostenibilità dei vari marchi di moda e fare delle scelte più consapevoli, possiamo ricorrere a Good On You, che è un sito internet che ci può aiutare a navigare la marea di prodotti che ci sono sul mercato e scegliere considerando molteplici aspetti etici (condizioni di lavoro, rispetto degli animali e rispetto dell'ambiente) senza dover fare infinite ricerche.
Cosa possiamo fare noi:
Ora che abbiamo analizzato il problema, possiamo concentrarci su quello che possiamo fare per ridurre l'impatto ambientale del nostro guardaroba, come:
Comprare di meno, o meglio, comprare solo ciò che vogliamo veramente e che intendiamo tenere. Secondo uno studio della World Bank, il 40% dei vestiti acquistati in alcuni paesi non viene mai usato. Secondo un altro studio della Ellen MacArthur Foundation, il numero medio di volte in cui un capo viene indossato è diminuito quasi del 40% tra il 2000 e il 2015 (negli Stati Uniti, 1/5 dei vestiti negli armadi degli consumatori non viene mai indossato). Nello stesso periodo, la produzione di vestiti è raddoppiata, la qualità è peggiorata e la longevità dei vestiti è diminuita.
Preferire piccoli venditori alle grandi catene. Melidé, ad esempio, propone delle bellissime T-shirt artigianali ricamate a mano fatte di cotone certificato e fairtrade.
Fare meno shopping online. In generale, lo shopping online contribuisce ad una cultura "fast fashion" in cui i consumatori acquistano molto più di quanto abbiano bisogno e poi restituiscono gran parte di ciò che acquistano. I resi possono raddoppiare le emissioni derivanti dal traporto, anche perché per i brand può essere più conveniente buttare via o bruciare i capi resi invece di provare a venderli altrove. Gli acquisti online, disponibili 24 ore al giorno, rendono anche più difficile resistere all'impulso di acquisto. Alcuni studi stimano che il 5% della popolazione abbia comportamenti di acquisto compulsivi.
Investire in capi di abbigliamento di migliore qualità. Preferire la qualità alla quantità è molto importante, in quanto ogni capo di abbigliamento che non compriamo implica un minore inquinamento. In più, i vestiti a buon mercato spesso non sopravvivono a troppi lavaggi, che significa che nel lungo periodo non risparmiamo soldi a comprare cose che costano poco. Brand come Patagonia propongono vestiti di grande qualità. Patagonia offre anche riparazioni gratuite dei suoi prodotti per stimolare i consumatori a tenere i vestiti il più a lungo possibile, invece di spingere continuamente a comprare nuovi modelli.
Indossare di più i vestiti che già abbiamo e tenerli più a lungo. Alcuni studi sostengono che continuare ad indossare un capo di abbigliamento per soli 9 mesi in più possa ridurre il suo impatto ambientale del 20-30%.
Prenderci cura dei nostri vestiti, ad esempio ricucendo le calze bucate invece di buttarle via, o ricorrendo a siti come Love Your Clothes, che offre informazioni su come riparare e allungare la vita dei capi di abbigliamento, riducendo così la loro carbon footprint.
Preferire il vintage, che permette anche di avere pezzi più insoliti e che raccontano una storia.
Lavare i vestiti meno di frequente, riducendo così la carbon footprint del nostro guardaroba, così come lo spreco d'acqua e il rilascio di microplastiche, che finiscono nell'oceano e presto o tardi nelle nostre bocche. Un'opzione può essere appendere i vestiti all'aria aperta, se hanno soltanto bisogno di essere rinfrescati. Se invece devono proprio essere lavati, sarebbe opportuno riempire la lavatrice a pieno carico e utilizzare dei detersivi non abrasivi. Se volete saperne di più su come fare una lavatrice più responsabile, date un'occhiata all'articolo che abbiamo scritto a riguardo.
Quando compriamo qualcosa di nuovo, dovremmo chiedere ai fabbricanti i criteri di sostenibilità soddisfatti dalla produzione del capo.
Quando non vogliamo più un capo di abbigliamento, è preferibile regalarlo ad amici o familiari o darlo in beneficienza, se è ancora in buono stato, evitando così che finisca in una discarica o che venga incenerito, generando ancora più emissioni.
In generale, dovremmo uscire dalla mentalità "fast fashion" e riflettere sulle ragioni che ci portano ad acquistare troppo e ad usare troppo poco e a trarre piacere e appagamento da questo meccanismo.
Fonti
https://eu.patagonia.com/it/it/faqs-returns-repairs.html
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